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Il Gargano, oggi Parco Nazionale, e l’attigua pianura foggiana si sono rivelati “mangiatori di erbe”.

Conservano una forte tradizione che ha alla base ragioni storico-sociali, segnate dalla presenza secolare del latifondo: fino al 70% della ricchezza terra in mano al 3% della popolazione e poi una folla di “contadini senza terra”, pastori itineranti, braccianti che lavorano non più di 15 giorni all’anno nelle masserie. Intere comunità rurali sono obbligate ad integrare la propria alimentazione con la raccolta di prodotti spontanei.

I mercati delle erbe selvatiche tra nobili, borghesi e  terrazzani – Il cuore culturale di questa tradizione è certamente la città di Foggia: il mercato di frutta e verdura di questa città, di 153 mila abitanti,  si svolge quotidianamente e da tempi storici in una lunga strada,  via  Rosati, che offre ancora oggi la suggestione di vedere fino a dieci bancarelle colme di erbe selvatiche. In ogni banco fino a 14-15 specie diverse.

Terrazzani, i testimoni di un’abilità neolitica – Banchi di erbe selvatiche si possono osservare anche nel Gargano: mercati rionali e banchetti agli angoli di strada si possono trovare in diversi comuni del Parco (San Giovanni Rotondo, San Marco in Lamis, Cagnano Varano, Manfredonia). I protagonisti di questi banchi di “verdure selvatiche” si riconoscono ancora oggi come “terrazzani”, gli ultimi testimoni di un’abilità “neolitica” di intere comunità – a Foggia popolavano un intero quartiere – che costruiscono la propria sussistenza su prodotti spontanei (“cibo selvatico”): erbe selvatiche in primis, dall’autunno fino alla tarda primavera, e poi, funghi, lumache, piccola caccia (lepri, ricci, donnole).

I terrazzani sono gli “esperti”, gli unici di cui ci si può fidare. Sulla propria pelle hanno sperimentato le potenzialità alimentari di tante specie e  imparato a riconoscere foglie, bulbi, steli, infiorescenze, turioni e germogli. Ne raccolgono così tante di “erbe selvatiche” che possono anche venderle. Ad acquistarle, poi, saranno principalmente i ricchi. Così, da oltre 150 anni, il mercato di via Rosati è animato dalla nobiltà, prima, e dalla borghesia agraria locale, poi. Nobildonne e ceto impiegatizio si sono affannati a cercare, tra i banchi di frutta, carne o pesce, quello delle “verdure selvatiche”, perché piacciono, sono gustose  e anche nutritive.

Ricordi dei duri periodi di “magra” – Terrazzani sono oggi anche giovani, figli e nipoti, che hanno imparato dai loro padri l’arte di questo riconoscere, raccogliere e vendere. Riaffiorano tra questa gente  ancora ricordi di gravi ristrettezze economiche, di duri periodi di “magra” non molto lontani dagli opulenti tempi che viviamo.

L’utilizzazione più comune delle erbe selvatiche è la nota misticanza (in vernacolo “Fogghjà’mmìsché”)

La misticanza è un miscuglio di diverse specie in forma di bolliti e semplicemente conditi  con olio di oliva. Le specie della misticanza sono numerose (fino a 15 specie diverse), ma con composizioni diverse dal Gargano alle adiacenti pianure del foggiano.

Pancotto, fino a 20 erbe – Più caratteristica risulta invece una misticanza nella forma del “pancotto”: pane raffermo,  duro, viene cotto (pancotto) in acqua insieme ad un miscuglio di erbe selvatiche  costituito fino a venti specie diverse, il tutto condito con olio di oliva. Pane con  verdure selvatiche saziavano, insaporivano il piatto, e nutrivano (vitamine, sali minerali).

Il piatto della festa – Con le erbe selvatiche (Diplotaxis erucoides, Diplotaxis tenuifolia,  Foeniculum spp. piperitum, Sinapis alba, Sinapis arvensis, Raphanus raphanistrum), inoltre, si elabora anche il piatto della festa o della  domenica, “maritandole”, in mancanza di carne, con la pasta fatta in casa (maccheroni, orecchiette).

Frittate, insalate, arrosti e sfornati –Nel Gargano, nella pianura foggiana, inoltre, le erbe selvatiche sono risultate  anche qualcosa di più del “primo piatto” per saziare. Sono diventate basi fondamentali per frittate, insalate, arrosti e sfornati.

Con il pesce di lago e con l’agnello – Altre, invece, ingredienti di piatti con il pesce di Lago: tipiche le anguille in minestra con Tripolium pannonicum o Taraxacum obovatum (Cagnano Varano) o minestre di pesci di lago con Sonchus maritimus (Lesina). Non mancano, inoltre  abbinamenti con carne (agnello) in un piatto legato alle festività pasquali: nervature di Scolymus hispanicus, saltate con uova e costine di agnello.

Crude in insalata – Diverse specie (Sonchus asper, Reichardia picroides, Diplotaxis tenuifolia, Sanguisorba minor, Cerinthe major, Tamus communis), infine,  sono utilizzate anche crude per insalate o in forma di companatico (ancora oggi da contadini direttamente in campagna).

Bulbi e steli per gli arrosti – Negli arrosti, poi, caratteristici risultano l’utilizzo di bulbi e steli di Allium ampeloprasium e soprattutto gli steli di Asphodeline lutea e di Asphodeline liburnica. In tutti i casi occupa sempre un posto di rilievo l’olio di oliva.

Questi piatti possono rappresentare ancora oggi la più tipica arte culinaria della provincia di Foggia e della Puglia in generale. Le peregrinazioni fitoalimurgiche, attraverso la ricerca etnobotanica, raccontano la ricca diversità di erbe eduli ancora oggi  tradizionalmente impiegate nella variegata gastronomia pugliese.