- Sconcertato e spaventato lui stralunata e inquietante lei
- Trepida mamma vegana che affama il figlio per non contaminarlo con le impurità del mondo e una risoluta suocera che risolve drasticamente il problema del nipotino sottopeso.
- il bambino incastrato nel mezzo di scelte pericolose
- Hungry hearts, il poster del film
- L’infelicita della sposa viene forse da lontano
IL FILM: Hungry Hearts di Saverio Costanzo
Mina (Alba Rohrwacher) è una ragazza italiana che lavora a New York. L’incontro con Jude (Adam Driver) avviene in modo originale ed emblematico
nella toilette di un ristorante cinese nel quale i due restano bloccati con le ansie e gli odori del caso.
I due si innamorano di un amore fatto di passione e valori che li accomunano, tra i quali una sana dieta vegetariana.
La storia d’amore porta al matrimonio e alla nascita di un bimbo bello e sano. La mamma però viene turbata dalla visione di un cacciatore e dal tuono di uno sparo che ha ucciso un animale.
La carne che fino a quel momento era associata alla passione dell’amore diventa sempre più un’immagine di morte
che trascina la donna in una spirale di isolamento e di insani dogmatismi nello stile di vita suo e del bambino.
Infatti, dopo il concepimento del bambino, Mina vira verso un veganismo intransigente che la porta a imporre le sue scelte estreme (nell’alimentazione, nel rifiutare di vedere medici, nel non uscire di casa per non respirare l’aria malata…) anche al figlio.
A causa della malnutrizione e della mancata assistenza sanitaria, il piccolo non cresce e lentamente si indebolisce e si ammala. L’intransigenza di Mina respinge anche i tentativi di aiuto del padre che prima subisce e non ha la forza di intervenire, poi, di fronte al rischio di perdere il bambino, prende in mano la situazione in una spirale di avvenimenti sempre più drammatici.
Appoggiandosi sulle performance dei due attori che vinsero meritatamente la Coppa Volpi al Festival di Venezia, il regista Saverio Costanzo è davvero bravo a muovere la macchina da presa negli spazi ristretti dell’appartamento in cui Mina si rinchiude col suo bambino per renderci la claustrofobia di una storia di chiusura verso il mondo e metterci in guardia sul pericolo del fanatismo
che compromette tutti i buoni propositi. Il regista, come nelle sue prove precedenti (vedi Private, il film sull’occupazione israeliana dei territori palestinesi con cui vinse il festival di Locarno nel 2004), non ha paura di prendere posizione per dirci che
l’intolleranza e i dogmatismi possono portare a conseguenze gravi per chi le mette in pratica e per chi le subisce.
Hungry hearts si spinge fino alle estreme conseguenze virando verso toni da thriller e arrivando a un finale così drammatico da sembrare quasi un lieto fine.