Da “Furore”, simbolo della Grande Depressione, all’agricoltura odierna c’è un filo nero, i suicidi. E non solo
L’indagine made in Usa del CDC (Centers for disease control alias Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie) svela che il settore dell’agricoltura, pesca e forestazione è al primo posto della classifica dei “suicidati” (dati 2012 rielaborati nel 2016; base 17 Stati e oltre 20 diverse categorie professionali).
L’agricoltura americana ha un tasso di 84,5 suicidi ogni 100 mila persone; segue il settore delle costruzioni al 53,3; circa la metà delle altre categorie ha un tasso inferiore 20.
Perché proprio l’agricoltura? Perché tanto stress? Un avvocato di Farm Aid interpellato da Modern Farmer lo spiega così:
– senso di impotenza: il prezzo di molti prodotti, specie i più diffusi come latte, mais, grano e soia non è controllato dagli agricoltori. Dipende da politica e grandi organizzazioni
– debiti: diffusi e necessari per investire all’inizio di ogni annata. Ma se qualcosa va storto, dal clima ai prezzi, è difficile ripagarli per non parlare dei profitti. Ciò contribuisce al senso di impotenza e di mancanza di controllo del proprio destino
– Molti agricoltori lavorano la terra di famiglia, appartenuta a genitori e nonni e il trauma di una perdita o di un fallimento pesa di più
– le aziende sono isolate e, vista l’età media dei conduttori, circa 60 anni, spesso manca la capacità o la cultura di chiedere aiuto o ammettere che qualcosa va storto.
E in Europa? Prendiamo la Francia, prima agricoltura europea, esportatore numero uno, una grande macchina produttiva: 57 miliardi di fatturato nel 2013 davanti a Germania (46,2 miliardi) e Italia (43 miliardi). Tra gli agricoltori il suicidio è la terza causa di morte dopo il cancro e le malattie cardiovascolari. L’impiccagione è il metodo preferito davanti all’uso delle armi, mentre le contadine preferiscono l’avvelenamento.
Sono un allevatore. Io muoio
Era scritto sulle magliette degli agricoltori che protestavano all’edizione 2016 del Sima, megafiera agricola. Un grande sfilata di tori e trattori alla quale nessun politico francese rinuncerebbe. Fischiavano Hollande.
J’étais paysan, je suis encore paysan, et moi? Sfilavano tre generazioni: nonno, padre e figlio: “Ero contadino/ sono ancora contadino/ed io?” chiedeva il bambino.
Le ragioni del malessere sono molte: prezzi sempre più bassi, indebitamento elevato, scomparsa delle quote latte, liberalizzazione dei prezzi, crisi sanitaria, embargo alla Russia sui prodotti agricoli, concorrenza degli altri paesi europei. Risultato: chiusura delle aziende agricole, abbandono delle campagne e aumento dei suicidi.
Succede che il settore agricolo è in piena ristrutturazione: sempre meno attori, sempre più concentrazioni, sempre più forti rispetto al singolo agricoltore cui si chiedono continui sforzi per aumentare la produttività. Ma in campo alimentare produttività non fa rima con qualità. E nemmeno con i consumatori che cercano, invece, più qualità.
Sanno i consumatori cosa accade nei campi? Sanno cosa sta cambiando nella produzione di cibo?
– le aziende agricole si sono dimezzate, soprattutto quelle di dimensione medio-piccola,
– aumentano le grandissime aziende agricole; crescono le aziende-fabbrica che scandalizzano i consumatori del “buon cibo”: allevano migliaia di vacche e di polli.
– cresce il livello medio di indebitamento: a causa dell’elevato valore degli investimenti iniziali
La riconversione ecologica costa troppo; a chi è indebitato non resta che continuare con agricoltura e zootecnia intensivi.