Allevate a terra non vuol dire all’aperto. All’aperto vuol dire anche al chiuso. E l’aviaria complica il tutto
Scegli anche tu le uova da “allevamento all’aperto”? Sono quelle preferite dai consumatori.
Credi siano le migliori uova perché:
- prodotte in ambienti sostenibili
- nel rispetto del benessere degli animali
Forse i veri polli siamo noi consumatori
In realtà, per legge, l’etichetta “uova ottenute da allevamento all’aperto” può essere utilizzata anche per:
- uova ottenute a terra (cioè in ambienti coperti/chiusi, in genere capienti capannoni coperti)
- per un periodo fino a 16 settimane.
- quindi da galline che non hanno trascorso tutta la loro vita all’aperto
Ma è consentito dalla legge
Sì, è l’ennesima deroga concessa agli allevatori dalla regolamentazione comunitaria.
Qual è il problema? Che è tornata l’aviaria e le norme veterinarie europee chiedono:
- galline tenute al chiuso per ridurre il rischio di infezioni da uccelli migratori,
- in contrasto con le norme Ue per le ovaiole allevate all’aperto che prevedono accesso continuo diurno alle aree scoperte.
Cosa leggiamo sulle etichette?
Consapevoli degli equivoci, ecco cosa dovrebbe segnalare l’etichetta sulla confezione e sull’uovo. C’è un codice: il primo numero va da 0 a 3: è il sistema di allevamento delle ovaiole:
- 0 = biologico all’aperto; 1 gallina per 10 metri quadrati
- 1 = all’aperto (per alcune ore al giorno); una gallina per 2,5 metri quadrati
- 2 = a terra, ma al coperto ovvero capannoni dove sono “libere” di muoversi; 7 galline per 1 metro quadrato
- 3 = in gabbie (molte catene della gdo non le vendono più o smetteranno a breve); 25 galline per 1 metro quadrato
Il rischio frodi c’è. Non solo in Italia. La Francia ne trova sempre di più e ha stretto la maglia dei controlli sulle frodi in etichetta